Da Masiello a Giancaspro: i 7 anni di crisi e nefandezze del Bari

Dal sogno Europa League al rischio dilettanti: i galletti precipitano. Fallimento pilotato grande occasione persa


Tanto tuonò che piovve. E fallimento fu, quasi al termine di quello che sarà ricordato come il decennio più buio della storia del Bari. Nulla, però, nasce per caso: la cronistoria degli eventi susseguitisi dal 2011 al 16 luglio 2018 ha probabilmente seguito il corso naturale degli eventi. Tempi e modi per correggere la rotta ci sono stati, ma nessuno vi ha posto (voluto o potuto porre) rimedio. Viene quasi da pensare che in fondo è giusto cosi. Ed è per questo che urge un esame di coscienza collettivo.

L’INIZIO DELL’INCUBO – Riavvolgiamo il nastro dal campionato di Serie A 2010/11. Il Bari è la squadra che pratica il miglior calcio d’Italia e le prime 5 giornate fanno pensare in grande. Via Perinetti, c’è Angelozzi. Sembra ci siano i presupposti per ripetere la strepitosa precedente annata e Ventura (si, proprio l’ex ct della nazionale) continua ad essere considerato un maestro di calcio. Una qualifica che viene smarrita (verrà ritrovata altrove) in un caldo pomeriggio al ‘Ferraris’ contro il Genoa: succede di tutto, il Bari alla fine perde 2-1. Unica gioia successiva il derby vinto al ‘Via del Mare’ contro il Lecce alla penultima d’andata. Le voci ed i sospetti si rincorrono e proprio i salentini nella sfida di ritorno si ‘garantiscono’ la salvezza sul campo. E quelli che prima erano idoli tirano indietro la gamba, s’infortunano, salutano in lacrime i tifosi in conferenza o, come molti altri, si coprono volto e dignità di vergogna. Uno di loro, Andrea Masiello, era tra i più acclamati della folla. Sarà in seguito il più odiato. Vengono meno unità e compattezza, tutto si sfascia.

STAGNAZIONE – Il Bari, appena retrocesso in B, scopre pian piano i suoi mali. I tifosi sono increduli. Nel frattempo si disimpegna Vincenzo Matarrese dalla carica di presidente (in sella dal 1983, non vi ritonerà più) ed il ds Angelozzi è costretto a fare gli straordinari per mettere su una squadra: già, solo questo. Competitiva o no è un dettaglio, viste le ristrettezze economiche. Torrente si salva per due anni di fila ed è più forte di tutto: penalizzazioni, voci di corridoio e crisi di risultati. Prova a farsi luce un certo Ciccio Caputo, mai del tutto amato e compreso dalla tifoseria. Subirà anche lui una squalifica per calcioscommesse, ma ci torniamo dopo. Si cerca in qualche modo di cedere il club e si punta forte sul duo Montemurro-Rapullino: sembra possibile, sembra fatta. I due entrano nel cuore dei tifosi. La piazza non vede l’ora di ‘sbarazzarsi’ dei Kennedy di Puglia, la tensione è altissima. Dopo 18 trattative fallite a partire dal 2001 la svolta sembra vicina, ma i Matarrese, alla fine, restano. E replicano: “Abbiamo 36 anni di storia, venderemo tutto quello che c’è da vendere”. Ed i debiti, intanto, ammontano a 50 milioni di euro…

IL FALLIMENTO (DEI MATARRESE) – Stagione 2013/14: per la prima volta non viene indetta una campagna abbonamenti, l’aria diventa irrespirabile. Entra nel club Gianluca Paparesta, nella speranza di attrarre qualche imprenditore dall’alto delle sue conoscenze internazionali. La squadra arranca e rischia perennemente la zona playout. Al termine di una sfida persa contro lo Spezia si registra lo strappo con Angelozzi: il ds parla di salvezza, l’ex arbitro di obiettivo playoff. E viene preso per folle. Meno, invece, quando invoca il fallimento pilotato: libri in tribunale e possibilità di salvare la categoria meritata sul campo in caso di acquisizione del club. Il fatidico giorno arriva. Il 7 marzo i Matarrese consegnano i libri in tribunale e pongono fine ad una presidenza in sella dal 1977. Nel frattempo la squadra fa a meno per tutto il campionato di Ciccio Caputo.

LA GRANDE ILLUSIONE
– Con i Matarrese fuori dai giochi la città riscopre la sua squadra: 10, 20, 40, 50.000 persone al ‘San Nicola’. Col Modena, in una delle prime giornate di campionato, se ne contavano appena 936. La gente crede e spera in un grande futuro. Si innamora di Paparesta, dei turchi, degli indiani, dei russi. Vive nel terrore dopo le prime due aste andate a vuoto, si tranquillizza alla terza. Il club lo rileva proprio Paparesta: è il 20 maggio 2014, il tutto avviene dopo un’asta perfezionata a suon di rilanci. Sul campo il club risale la china e vede perdere la Serie A al termine di uno sfortunato doppio confronto col Latina. In molti ritengono che quella eliminazione abbia cambiato i connotati al futuro dei biancorossi. Non c’è una controprova, ma da quel momento i dubbi sul nuovo corso aumentano col passare dei mesi. Restano al timone il figlio Gianluca e papà Romeo, non ci sono ingressi di magnati e qualcuno inizia a perdere sogni di grandeur. Si chiacchiera con insistenza del sostegno tacito di Lotito, presidente della Lazio: secche le smentite. Ci saranno anche inchieste giudiziarie, esse si concluderanno con un nulla di fatto. Male la squadra al primo anno con Mangia e Nicola, meglio col tecnico piemontese nella prima metà del secondo anno: eppure, al termine del girone d’andata, l’ex Livorno viene esonerato. Fatali tre sconfitte consecutive nonostante il terzo posto, siderali le distanze da Cagliari e Crotone. Due i ds del biennio: Antonelli ed il rumeno Zamfir, che non sembra avere una grande padronanza dell’italiano. Con Camplone le cose non cambiano di molto: è quinto posto finale, ma la A sfugge al termine di un confronto al cardiopalmo: 3-4 col Novara in casa e nonostante l’esultanza di Paparesta sotto la Curva Nord. Ma il peggio arriva a fine partita e nelle settimane dopo. Perchè il fantomatico magnate Datò Noordin Ahmed – presentato in pompa magna ad aprile 2016 come futuro presidente – si tira indietro all’ultimo istante. Bonifici promessi che non arrivano mai nonostante le promesse da Champions League. Ci avevano creduto tutti alla bontà dell’operazione, almeno in un primo momento. Il Bari sembra ad un passo dal fallimento dopo appena due anni di gestione. Ma a salvarlo provvisoriamente dal baratro è Cosmo Antonio Giancaspro: a dicembre era entrato in società col 5% delle quote ed aveva messo mano al portafoglio per curare la parte economica del club. Il 22 giugno 2016 ribalta le carte in tavola diventando amministratore unico. E Caputo? Lontano da Bari – dove era offeso e fischiato – si riscopre un bomber come mai in precedenza…

L’AGONIA – Il peggio, inizialmente, sembra alle spalle. Ma l’eredità della precedente gestione rende la strada in salita: tanti già da allora i debiti accumulati. Nonostante rivoluzioni, tagli e ridimensionamenti vari Giancaspro a conti fatti Giancaspro non riesce a ridurre la massa debitoria. Eppure, nonostante ciò, l’imprenditore di Molfetta punta anch’egli al piatto forte: la Serie A. Spuntano anche in questo caso indagini giudiziarie, aumentano i contenziosi. Ma lui va avanti e vuole regalare alla città un grande stadio ed un piano industriale (ancora ignoto). Sceglie Stellone e Sogliano, al primo anno non gli dice affatto bene: arriva Colantuono. Tutto sembra procedere bene, ma un’inopinata sconfitta a Trapani (4-0, i siciliani retrocederanno poi in C) rovina tutto. La piazza risponde bene in termini di affluenza, ma a fine anno è delusa e chiede a gran voce le dimissioni di Sogliano. Che non arrivano. Quello che invece cambia è il mister. Scelto Grosso: campione del mondo, faccia da bravo ragazzo. Dopo 3 sconfitte nelle prime 4 giornate la squadra ingrana poco a poco e, al termine del derby interno vinto contro il Foggia, ottiene la testa della classifica del campionato di Serie B. Una gioia che non dura molto, ma la squadra rimane li e se la gioca. A gennaio Anderson sembra ad un passo dalla cessione (misteriosamente in tribuna contro l’Empoli), alla fine rimane dov’è. Idem Galano. Tutto poi scorre fino al mese di aprile, tra alti e bassi. Prima che succeda l’irreparabile…

LA FINE – Siamo ad aprile: voci incontrollate vogliono un Bari incapace di aver onorato per tempo i pagamenti di stipendi e contributi. I debiti accumulati in soli 4 anni di FC Bari 1908 sono 18 milioni. “Fake news” sentenzia Giancaspro in un primo momento: ma la penalizzazione arriva e, nonostante il sesto posto finale con 67 punti, i galletti giocano i playoff fuori casa contro il Cittadella: i veneti avevano fatto ricorso basandosi sulla regolarità del campionato ed avevano avuto la meglio. Il Bari non va oltre il 2-2: si fosse giocato in Puglia, sarebbe stata semifinale. Succede il putiferio: risse, spintoni, tutti contro tutti, Basha contro Giancaspro. “Qualcuno ci aveva detto che era tutto a posto”, tuonava. E tuonava contro quella stessa persona che sosteneva “di avere un piano B senza Serie A”. Ed in realtà non disponeva della cifra necessaria neppure per ricapitalizzare. Il resto della storia è nota ed è un insieme di trattative, disperate corse contro il tempo e di CdA senza esito alcuno, irritazioni e mancate risposte. Chiede di “meritare rispetto” e non lo dà. Nemmeno a quei papabili compratori pronti ad accollarsi i debiti. Prova a cercare una soluzione, a salvare il salvabile. Ma ha una piazza contro, perde progressivamente quel minimo di credibilità di cui disponeva. Viene lasciato solo anche dai suoi più stretti collaboratori: sa tanto di Ceausescu. Fino al rifugio finale in Roma, città eterna. Eterna come la sofferenza di un popolo che dopo oltre sessant’anni riscoprirà l’amarezza di ripartire dai campi di terra battuta e nella speranza di tornare grande.






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